Ti racconto una storia

Ti racconto una storia

Vorrei parlare di Karate-Educazione ai lettori di YOI che fanno gli insegnanti. Mi piacerebbe farlo raccontando una storia: la storia del karate (e di tutte le altre arti marziali). 

Una storia che inizia almeno 10.000 anni fa, ma forse decine di migliaia di anni prima, forse all’alba della storia dell’uomo.

Perché è importante conoscere la storia? Perché è la nostra storia! Perché noi stessi, in qualche modo, stiamo facendo la storia.

Conoscerla significa capire come hanno fatto le arti marziali a mani nude ad arrivare sino a noi senza perdersi nel tempo (considerando anche l’invenzione delle armi da fuoco).

Conoscere le proprie origini significa conoscere la cultura che c’è dietro ciò che pensiamo, ciò che facciamo, ciò che insegniamo…

Comprendendo le nostre origini capiremo quanto importante sia il ruolo di insegnante di karate nella società, anche se la maggior parte di noi non se ne rende conto.

Tutti noi, volenti o nolenti, come artisti marziali siamo il risultato di questa storia: siamo figli, di figli, di figli, di generazioni di maestri che ci hanno preceduto, ci hanno educato. Gli effetti dell’educazione si possono manifestare a distanza di secoli e di millenni: noi siamo il risultato di quel passato.

Ne deriva quindi una piacevole responsabilità: quella di educare a nostra volta i giovani che ci sono affidati, alcuni dei quali, un giorno, occuperanno il nostro posto nel ruolo di insegnanti.

Le prime tracce di una civiltà che annoverava guerrieri fu quella vedica, che ebbe il suo apogeo intorno al 4.000 a. C. La civiltà vedica è la cultura associata al popolo che compose i testi filosofico/educativi (religiosi?) conosciuti come Veda, nel subcontinente indiano. Il territorio allora occupato da quella civiltà corrisponde all’attuale regione indiana del Punjab.

I resoconti di 6.000 anni fa (tramandati prima oralmente e poi per iscritto) narrano dei guerrieri Kshatriya, che avevano la responsabilità di proteggere la vita di tutti gli esseri viventi (non solo gli esseri umani). Costoro praticavano il Dhanurveda (scienza dell’arco: per estensione scienza delle arti marziali). L’epopea dell’insuperabile arciere Arjuna, nel Mahabharata, il più antico poema epico indiano, sembra risalire al 10.000 a. C.

Questa casta guerriera praticava, oltre all’uso di diverse armi, anche il combattimento a mani nude. Poi, grazie alla pratica in contemporanea del Sydda yoga, il mito narra che acquistavano anche poteri soprannaturali. Comunque, al netto delle leggende, erano sicuramente dei formidabili guerrieri professionisti.

Dal 4.000 a. C. circa iniziò la decadenza della civiltà vedica, che durò 5.000 anni, fino circa al 1.000 d. C. Questa lunga diaspora degli ariani vedici favorì la diffusione del Dhanurveda, che si propagò così in tutto il mondo assumendo forme, specializzazioni e nomi diversi anche a seconda delle influenze locali.

Ancora oggi, navigando sul web, si possono vedere allenamenti, soprattutto in India, che si rifanno a quella tradizione (shastar vidiya). Personalmente, soggiornando in Punjab per un breve periodo, ho potuto praticare la Gatka, uno dei rami (armati) del Dhanurveda.

Una stima approssimata parla, a oggi, di 500 tipi diversi di arti marziali diffuse in tutto il mondo.

Siddharta Gautama, il Bhudda, apparteneva alla casta degli Kshatriya, e proprio a un suo discepolo, 1.000 anni dopo la sua scomparsa, si deve la diffusione delle arti marziali in oriente per come le conosciamo ora. Infatti il monaco buddista Bodhidharma, 28º patriarca del Buddhismo indiano secondo la tradizione Chán/Zen, attorno al 500 d. C. fondò in Cina il tempio di Shaolin (giovane foresta), dal quale nei secoli seguenti vennero diffuse, insieme al Buddhismo, anche le arti marziali.

Il treno del karate dunque (ma anche del judo, aikido, ecc..), è partito dall’India, ha fatto tappa in Cina, e dopo varie peripezie è arrivato in Giappone, dal quale è poi approdato in Occidente, ma questa volta in aereo…!

La logica mi dice che invece verso occidente (medio oriente, Grecia, Roma) approdò, con gli ariani vedici, la lotta greco-romana. 

Vorrei concludere con una riflessione. Il Mahabharata canta le gesta degli Arya (ariani), che scesero con grandi eserciti dall’Asia centrale. Si presume pertanto che caste di guerrieri esistessero da tempi molto più antichi del 10.000 a. C., periodo in cui si presume si svolgano le vicende cantate nel Mahabharata. 

D’altronde, dall’alba della vita umana sulla terra, le arti marziali rappresentano la lotta dell’uomo per la sopravvivenza, e non penso di dire una baggianata affermando che la “lotta per sopravvivere” è stata in assoluto la prima “disciplina” che mai l’uomo abbia dovuto praticare. Penso anche che in un ambiente ostile i giovani cacciatori venissero addestrati attraverso una sorta di primitivo kata, magari attraverso danze guerriere. 

Gli storici affermano che la danza è la forma d’arte più antica che accompagna la storia della civiltà umana. Le prime testimonianze risalgono al mesolitico (età della pietra) fra il 10.000 e l’8.000 a. C. Gli uomini danzavano per raccontare storie, creare senso di comunità, comprendere e imitare la natura e le forze divine, scaricare le tensioni, corteggiarsi, ma danzavano anche per riprodurre combattimenti e simulare strategie di caccia. La logica ci dice che proprio le strategie di caccia e la simulazione di lotte contro gli animali feroci siano stati i primi kata della storia dell’uomo.

Carlo Pedrazzini